Abilità sempre più privilegiate anche a livello di curriculum e selezione del personale, mentre il mondo del lavoro sembra incapace di reperire competenze adeguate alla crescente fame di intelligenza artificiale.
I videogiochi come ambiente di formazione? Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma la risposta è sì. Sono sempre maggiori i casi di aziende che, tra i curriculum dei candidati, prediligono quelli con profili da “gamer”, ossia giocatori di videogiochi. Sembrerebbe che l’attività video-ludica permetta di sviluppare competenze trasversali come l’intelligenza emotiva, la capacità decisionale, l’abilità di negoziazione e, ovviamente, la dimestichezza e la predisposizione al lavoro in ambito digitale. Non da ultimo, anche la capacità di lavorare in team. Infatti, i videogiochi permettono di “giocare”, attraverso la rete Internet, in maniera collaborativa/competitiva con altri utenti sparsi nella rete. Questo legame collaborativo, inoltre, permette di affinare le lingue straniere perché mette in contatto giocatori da tutto il mondo che comunicano (spesso in inglese) ma anche nei più svariati linguaggi.
Per fare un esempio pratico, un “gioco di ruolo”, ossia quello dove il giocatore impersona un protagonista con particolari caratteristiche caratteriali e fisiche, aiuterebbe a sviluppare capacità di problem solving; un “gioco strategico”, invece, sarebbe una scuola pratica per gestire al meglio le risorse a propria disposizione.
In ottica lavorativa queste abilità potrebbero diventare un valore aggiunto, rendendo i giovani candidati capaci di adattarsi a sollecitazioni differenti, attraverso risposte immediate. E questo è spesso quello che cercano le aziende: non solo competenze tecniche, ma persone capaci di adattarsi e fare gruppo. Secondo alcuni psicologi la socialità, seppur digitale, consentirebbe di creare attitudini comunitarie che diventano utili in ambito lavorativo.
Tuttavia, è necessario segnalare che l’attività video-ludica non è solamente portatrice di vantaggi. In alcuni casi potrebbe causare problemi muscolari, obesità, crisi epilettiche, comportamenti aggressivi e forme di dipendenza. Ma questo è un altro discorso.
I videogiochi come ambiente di formazione? Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma la risposta è sì. Sono sempre maggiori i casi di aziende che, tra i curriculum dei candidati, prediligono quelli con profili da “gamer”, ossia giocatori di videogiochi. Sembrerebbe che l’attività video-ludica permetta di sviluppare competenze trasversali come l’intelligenza emotiva, la capacità decisionale, l’abilità di negoziazione e, ovviamente, la dimestichezza e la predisposizione al lavoro in ambito digitale. Non da ultimo, anche la capacità di lavorare in team. Infatti, i videogiochi permettono di “giocare”, attraverso la rete Internet, in maniera collaborativa/competitiva con altri utenti sparsi nella rete. Questo legame collaborativo, inoltre, permette di affinare le lingue straniere perché mette in contatto giocatori da tutto il mondo che comunicano (spesso in inglese) ma anche nei più svariati linguaggi.
Per fare un esempio pratico, un “gioco di ruolo”, ossia quello dove il giocatore impersona un protagonista con particolari caratteristiche caratteriali e fisiche, aiuterebbe a sviluppare capacità di problem solving; un “gioco strategico”, invece, sarebbe una scuola pratica per gestire al meglio le risorse a propria disposizione.
In ottica lavorativa queste abilità potrebbero diventare un valore aggiunto, rendendo i giovani candidati capaci di adattarsi a sollecitazioni differenti, attraverso risposte immediate. E questo è spesso quello che cercano le aziende: non solo competenze tecniche, ma persone capaci di adattarsi e fare gruppo. Secondo alcuni psicologi la socialità, seppur digitale, consentirebbe di creare attitudini comunitarie che diventano utili in ambito lavorativo.
Tuttavia, è necessario segnalare che l’attività video-ludica non è solamente portatrice di vantaggi. In alcuni casi potrebbe causare problemi muscolari, obesità, crisi epilettiche, comportamenti aggressivi e forme di dipendenza. Ma questo è un altro discorso.
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