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Visualizzazione dei post da ottobre, 2025

Quando l’orrore va col diletto: dal Seicento a oggi

“Spesso l’orrore va col diletto e un tragico fatto è un caro oggetto.” Questa frase di Giovan Battista Marino, poeta del Seicento, sembra scritta per il nostro tempo. In poche parole, svela una verità inquieta e persistente: il tragico non respinge, attrae. E lo fa perché ci riguarda, ci scuote, ci costringe a sentire. Il fascino del tragico: Caravaggio e la carne del dolore Nel Seicento, il tragico era ovunque: nei teatri, nei poemi, nei quadri. Caravaggio ne è il portavoce visivo. I suoi martiri non sono idealizzati, ma vissuti. Il sangue è vero, la sofferenza è tangibile. Eppure, non distoglie lo sguardo: lo cattura. Perché in quel dolore c’è una verità che ci chiama. Caravaggio non dipinge l’orrore per scandalizzare, ma per rivelare. E nel farlo, ci offre un diletto profondo: quello del pensiero, della compassione, della consapevolezza. Il tragico diventa “caro oggetto” perché ci fa crescere. Oggi: tra estetica del dolore e bisogno di verità Nel mondo digitale, il tragico è ovunque...

Il silenzio che parla: la Canestra di frutta di Caravaggio e il paradosso della natura morta

In un’epoca in cui l’immagine è spesso rumore, la Canestra di frutta di Caravaggio si impone come un invito al silenzio. Non un silenzio vuoto, ma uno che risuona dentro chi guarda, che sospende il brusio del mondo e ci riconduce a noi stessi. Davanti a questo dipinto non viene da parlare, non viene da smanettare sul telefono, non viene da fare nulla se non ascoltare quel silenzio contagioso che avvolge gli oggetti. Caravaggio, mago delle composizioni, riesce a trasformare una semplice cesta di frutta in un teatro dell’anima. La sua natura morta non è una pausa dalla figura umana, ma una sua intensificazione. Paradossalmente, proprio escludendo l’uomo, il pittore ci parla della nostra umanità con una profondità che pochi ritratti riescono a raggiungere. Le mele ammaccate, le foglie ingiallite, l’uva che sembra sul punto di marcire: ogni dettaglio è un frammento di tempo, un’eco della nostra fragilità, della nostra bellezza imperfetta. Il silenzio che emana dalla Canestra non è solo vis...

Neorealismo e società digitale: quando l’arte cercava il mondo comune

Di fronte alla frammentazione dell’oggi, il neorealismo italiano ci parla ancora. Non come nostalgia, ma come antidoto. Nel suo saggio “Io tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune”, Éric Sadin denuncia la deriva dell’individualismo contemporaneo: nato da un ideale umanistico di libertà e armonia, si è trasformato in una ricerca istituzionalizzata del profitto, alimentata dalle tecnologie digitali. L’individuo, oggi, è sovrano assoluto di sé stesso, ma anche isolato, calcolato, ottimizzato. Il mondo comune si dissolve. Ma c’è stato un tempo in cui l’arte cercava proprio quel mondo comune. E lo faceva con mezzi poveri, con sguardi sinceri, con storie di gente qualunque. Quel tempo si chiama neorealismo italiano. Il cinema come testimonianza Tra il 1945 e il 1952, registi come Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Luchino Visconti hanno portato sullo schermo la realtà nuda dell’Italia del dopoguerra. Roma città aperta, Ladri di biciclette, La terra trema non sono solo film...