I giorni passavano uno in fila all'altro con il loro fastello di cose sempre simili, appena impercettibilmente diverse, come il mio viso. Il tempo lavora così, Angela, con sistematica gradualità. Un invisibile ma implacabile movimento ci usura. La trama dei tessuti si allenta e si riassesta sul telaio delle ossa, e un giorno, senza che nessuno ti abbia avvisato, indossi la faccia di tuo padre. Non è solo colpa del sangue. Magari la tua anima ha assecondato gli impulsi di un desiderio nascosto, che sai di avere, anche se ti ripugna. Questa mutazione si rende visibile a metà della vita, gli anni a venire non aggiungeranno che qualche fatale ritocco. Il viso dei quarant'anni e già quello della tua vecchiaia. Quello che entrerà nella tua tomba.
Io, che avevo sempre creduto di somigliare a mia madre, divenni mio padre una mattina di dicembre, nello specchio della mia auto ferma nel traffico. La sofferenza aveva incoraggiato il mio soma nel verso di quell'uomo che continuavo a detestare senza una ragione precisa. Solo perché ero abituato a farlo fin da quando avevo memoria di lui. Mi tolsi gli occhiali e mi avvicinai allo specchietto. Gli occhi vagavano cupi in un cerchio violaceo, il naso nudo (dove persisteva il solco della montatura) era diventato più ingombrante. La punta si era adagiata verso la bocca che invece si era ristretta, come una riva inghiottita dal mare. C'era tutto di lui, o quasi. Mancava quella rampata di buffoneria che, infissa nei lineamenti dal taglio triste, lo rendeva unico, e che non lo lasciò nemmeno da morto. Il volto stecchito, senza più intenzioni, custodiva la prepotenza del suo inquilino defunto. Io ero la sua brutta copia smarrita, un triste signore dalla faccia rapace.
Non ti muovere
Margaret Mazzantini
Io, che avevo sempre creduto di somigliare a mia madre, divenni mio padre una mattina di dicembre, nello specchio della mia auto ferma nel traffico. La sofferenza aveva incoraggiato il mio soma nel verso di quell'uomo che continuavo a detestare senza una ragione precisa. Solo perché ero abituato a farlo fin da quando avevo memoria di lui. Mi tolsi gli occhiali e mi avvicinai allo specchietto. Gli occhi vagavano cupi in un cerchio violaceo, il naso nudo (dove persisteva il solco della montatura) era diventato più ingombrante. La punta si era adagiata verso la bocca che invece si era ristretta, come una riva inghiottita dal mare. C'era tutto di lui, o quasi. Mancava quella rampata di buffoneria che, infissa nei lineamenti dal taglio triste, lo rendeva unico, e che non lo lasciò nemmeno da morto. Il volto stecchito, senza più intenzioni, custodiva la prepotenza del suo inquilino defunto. Io ero la sua brutta copia smarrita, un triste signore dalla faccia rapace.
Non ti muovere
Margaret Mazzantini
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