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Non si tratta di competere con le macchine ma di collaborare

Di che cosa parliamo quando parliamo d’intelligenza artificiale?
“Parliamo della simulazione o dell’emulazione del ragionamento umano da parte dei calcolatori. Si tratta, cioè, di far «pensare» le macchine in modo da riprodurre il funzionamento o almeno i risultati dei processi cerebrali. È per questo che, fin dagli inizi, i calcolatori sono stati chiamati «cervelli elettronici»”.

Fino a che punto la macchina può simulare l’attività mentale dell’uomo? Quali sono i limiti dell’intelligenza delle macchine rispetto all'intelligenza umana? In che cosa invece la prima supera la seconda?
“Fin dagli anni ’50 si è pensato alla possibilità di far giocare le macchine a scacchi e di far loro dimostrare teoremi: gli scacchi e la matematica erano, e sono, considerate le attività più razionali dell’uomo. Oggi si può dire che quegli obiettivi sono stati pienamente raggiunti tant’è che già una ventina di anni fa un computer batté il campione mondiale di scacchi in carica, Gary Kasparov, e un altro computer risolse un problema aperto di matematica.
Paradossalmente, i limiti dei computer stanno nella simulazione delle attività più «animali» dell’uomo, piuttosto che di quelle più umane. È risultato infatti più difficile simulare il riconoscimento dei volti o delle voci, che i nostri animali domestici fanno senza problemi, più che i ragionamenti! Col senno di poi, non sorprende però che i computer trovino difficile essere «intuitivi», mentre sono in grado di essere anche più razionali di noi, visto che hanno un analogo del sistema nervoso, ma manca loro un analogo del corpo”.

La ricerca opera scelte che assecondano interessi economici e industriali: com’è possibile prevenire derive che potrebbero compromettere il successo del progresso scientifico?
“Il progresso scientifico si è sempre ispirato a interessi economici, e anche politici, e le due cose non sono necessariamente incompatibili: Archimede è stato il più grande scienziato dell’antichità, ma ha saputo unire la scoperta delle proprietà del cerchio e della sfera alla costruzione di macchine belliche, quali gli specchi ustori, che erano le antesignane delle moderne «armi di distruzione di massa».
Il problema per il progresso scientifico può arrivare da imprese ad alto costo, come la scoperta del bosone di Higgs o delle onde gravitazionali, poiché richiedono tecnologie molto avanzate e dispendiose. In quei casi si è aggirato l’ostacolo mediante il coinvolgimento di organizzazioni sovranazionali finanziate dagli Stati, quali il CERN. È significativo sottolineare che l’Inghilterra era stata convinta a partecipare al progetto dall’allora primo ministro Margaret Thatcher, che aveva un dottorato in chimica (così come Angela Merkel ce l’ha in fisica). Dobbiamo quindi scongiurare il rischio di un degrado intellettuale della classe politica, perché le cose potrebbero cambiare radicalmente con conseguente sofferenza della scienza teorica nei confronti della tecnologia applicata”.

Oltre a eventuali problemi etici, legali e sociali, non devono essere sottovalutati quelli fiscali. In vista di una progressiva automazione del lavoro, se le macchine producono reddito e non creano lavoro, è giusto tassarle?
“Non credo che abbia senso tassare soggetti non umani, come le macchine, ma certo si possono tassare i loro proprietari o chi le usa per lavoro. D’altronde, misure come i redditi di cittadinanza o i sussidi di disoccupazione sono già tasse indirette, che mirano appunto a prendersi carico della progressiva meccanizzazione, e della conseguente disoccupazione. Qualcuno è addirittura arrivato a immaginare la società futura come una «civiltà delle macchine», con la maggioranza della popolazione disoccupata (visione pessimista) o liberata dal lavoro (visione ottimista)“.

Uomini e macchine sono ancora in competizione tra loro, giocano in categorie diverse o ci sono i presupposti per un’alleanza e un’intelligenza collettiva che ispiri una nuova organizzazione delle imprese, dei governi e della ricerca?
“L’esempio degli scacchi, o delle automobili, dimostra che si possono benissimo separare le competizioni: ci sono ormai campionati di scacchi per i programmi e per gli uomini, così come gare olimpiche di corsa per gli atleti e gare di formula 1 per le auto.
Il problema non sta tanto nella competizione, visto che nessuno di noi si preoccupa che le macchine corrano più velocemente degli uomini, o giochino meglio a scacchi, ma nella collaborazione: ai nostri fini, l’importante è usare le macchine nelle attività che svolgono meglio di noi, e affiancarle in quelle che noi svolgiamo meglio. In matematica, ad esempio, le dimostrazioni completamente automatiche non esistono: finora sono ancora gli uomini a scrivere i programmi che portano alla soluzione «automatica» dei problemi.
Il vero problema sta però nell’addestramento delle macchine ad agire autonomamente, senza intervento umano. I programmi automatici di compra-vendita delle azioni, ad esempio, hanno portato a disastri nel momento in cui hanno innescato meccanismi al ribasso che hanno fatta crollare la borsa. Purtroppo abbiamo la tendenza a lasciare che le macchine, da mezzi per raggiungere fini, diventino fini da perseguire di per sé: il mercato delle auto e il traffico sono due esempi complementari di come un mezzo utile possa finire col diventare un problema. Se questo succederà con i calcolatori, saranno guai grossi, e molti hanno già espresso il loro parere allertando del pericolo a cui potremo andare incontro, primo fra tutti Bill Gates”.

La robotica può educare alla riunificazione del sapere scientifico e di quello umanistico a vantaggio di uno sviluppo economico?
“Finora il sapere umanistico (filosofico, letterario, cinematografico) ha teso a mettere in guardia dalla progressiva meccanizzazione della vita umana, da romanzi come Frankenstein a film come Metropolis o Blade Runner. Sono proprio la robotica e l’intelligenza artificiale a suscitare le maggiori preoccupazioni e le paure di disumanizzazione: temo dunque che non siano gli strumenti migliori per tendere a una riunificazione delle due culture.
Inoltre, lo sviluppo economico è guidato più dalla tecnologia che dalla scienza: cioè, più dalla risoluzione di problemi legati ai bisogni pratici, innati o indotti, che dalla ricerca delle risposte alle grandi domande sul mondo e sull’uomo che interessano agli umanisti. Forse, ai fini dell’unificazione delle due culture, è proprio il sapere scientifico, meno vicino agli sviluppi pratici e più teorico, quello cui guardare, e da perseguire con maggiore attenzione”.

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