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Silicon Valley abbiamo un problema: il vostro modello di innovazione è fallito

Oscar di Montigny

Economia sferica

"La velocità non conta se vai nella direzione sbagliata"

6 Dicembre 2019 
Il sistema start up che avrebbe dovuto creare una new economy fatta da una moltitudine di business sostenibili e innovativi ha creato poche società gigantesche con una pessima performance economica. Risultato: per progredire davvero, bisogna ripensare completamente il sistema

Martedì scorso ho letto con estremo interesse un articolo firmato dal professor Adam Arvidsson e pubblicato su “Il Foglio Innovazione”. Partendo dal disastroso tentativo di esordire in Borsa di WeWork, che dall’essere una delle start up di maggior valore al mondo si è ritrovata sull’orlo del fallimento, il professore sottopone a un’analisi estremamente critica il modello Silicon Valley che alla luce dei fatti e dei numeri, pur dominando la scena dell’innovazione digitale non genera, o lo fa in maniera scarsa, crescita economica e utili significativi.

Dunque, il sistema start up che avrebbe dovuto creare una new economy fatta da una moltitudine di business sostenibili e innovativi invece ha creato poche società gigantesche con una pessima performance economica. Anche il venture capital, nato per fornire capitali ad alto rischio all’industria dei semiconduttori negli anni settanta, si è evoluto per gestire mercati il cui futuro resta imprevedibile con il risultato eclatante di un approccio “spray and pay” in cui i pochi successi devono bilanciare i molti fallimenti.




In conclusione, da un modello nato per finanziare l’espansione di nuovi mercati, la Silicon Valley si è trasformata in un sistema per l’appropriazione di guadagni finanziari ma che contemporaneamente non contribuisce alla crescita economica reale. Questo perché alla base c’è una mancanza di immaginazione. «Se il modello Silicon Valley si sta esaurendo è soprattutto per questo motivo manca un’idea di che tipo di mondo costruire con le tecnologie digitali, un’idea di un futuro diversa dal presente».
 
Una conclusione spaventosa ma al contempo illuminante. Da un lato spaventa pensare di dover ammettere che il distretto che ha guidato come un faro negli ultimi decenni l’innovazione nel mondo, non abbia ancora compreso che non esiste un’idea veramente innovativa di futuro che non rimetta l’Uomo al centro del proprio interesse quale soggetto ispiratore della propria progettualità e della propria felicità, e l’Amore, che per me – come da anni sostengo e scrivo – è in assoluto l’atto economico per eccellenza. E che per farlo, oggi siamo chiamati, tutti, nessuno escluso, a ripensare completamente l’economia, considerando la possibilità di fare tutti un passo indietro.

Dall’altro lato è una conclusione illuminante e finanche ottimista perché noi, qui, abbiamo invece ben capito che per far sì che si realizzi un’evoluzione positiva, le aziende devono iniziare a occuparsi non solo del proprio vantaggio ma anche del vantaggio della comunità a cui fanno riferimento, cioè quello in cui operano e dal quale attingono le risorse umane. Abbiamo ben capito che il futuro sarà di quelle aziende che riusciranno a prendersi cura di se stesse, dei propri clienti ma al contempo anche della collettività, e da qui possiamo muoverci non solo per immaginare nuovi modelli sociali e di business, ma anche realizzarli affinché l’Uomo, quindi il suo pensiero, le sue emozioni e le sue aspirazioni, elementi su cui far convergere una profonda riflessione, venga posto al centro di tutto. 

Tutto questo però sarà possibile solo grazie alle Idee. Dobbiamo ritrovare la voglia di ricominciare a mettere al centro il progetto e non più il risultato. Un progetto fatto dall’uomo per l’uomo. All’origine di una grande idea c’è sempre stato un uomo che grazie alla sua sensibilità quell’idea l’ha prima percepita, quindi l’ha generata, poi l’ha pensata nella sua mente dove l’ha custodita, sviluppata ed evoluta, ma soprattutto l’ha amata nel suo cuore. E solo alla fine l’ha trasformata rendendola materia, avviando cioè un progetto per realizzarla e quindi condividerla col mondo. Per questo credo fortemente che oggi la vera differenza fra le persone sia determinata dalla loro capacità di fare, o meglio, di far accadere le cose, e ritengo che questa sia la sola vera condizione necessaria per migliorare il contesto nel quale tutti viviamo, unica possibile risposta al tam tam quotidiano che continua a dirci che “è impossibile”. Oggi più che mai c’è bisogno di persone che facciano la differenza e aspirino nella loro vita a dare un contributo, non solo per sé ma anche per gli altri e per quel contesto che ci contiene tutti che chiamiamo mondo ordinario.

Siamo stati capaci di inventare tecnologie che consentono in breve tempo di risolvere problemi considerati insormontabili fino a qualche decennio fa e che al contempo potrebbero produrre enormi vantaggi personali per chi li ha risolti. Oggi il tema centrale quindi non è più quello dell’accelerazione, che è oramai scontata, ma la necessità di dare il giusto orientamento a questa straordinaria velocità. «La velocità non conta se vai nella direzione sbagliata», diceva Gandhi. Per questo, oggi più che mai, l’uomo e il suo pensiero devono stare al centro, in cabina di regia.

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